Ha fatto un certo scalpore qualche anno fa l’annuncio dell’azienda giapponese GMO Internet: dal 2018 avrebbero iniziato a pagare una parte dello stipendio dei propri lavoratori in Bitcoin.
In Italia sarebbe possibile una scelta del genere? Qualcuno già la attua?
Vediamo prima di tutto com’è lo stato dell’arte nel resto del mondo.
Le aziende che pagano gli stipendi dei propri dipendenti in Bitcoin
La nipponica GMO Internet ha consentito a 4mila dei suoi dipendenti di ricevere non oltre 100mila yen di retribuzione in Bitcoin (parliamo di circa 750€).
Una scelta non dettata solo dalla moda finanziaria del momento - perché è innegabile che le criptovalute per diversi investitori siano un azzardo “trendy” - ma con l’obiettivo di “migliorare la nostra conoscenza della moneta virtuale usandola realmente”, dice il portavoce della GMO Harumi Ishii.
Non è una totale novità, perché già dal 2014 la società Bitwage aiutava i datori di lavoro a pagare i propri dipendenti in criptovalute, e oggi diverse società, soprattutto che operano nell’high tech, che si sono accordate con i dipendenti per pagare una parte anche consistente dello stipendio in criptovalute.
In fondo Bitcoin e criptovalute in generale sono un investimento vincente per chi ci ha scommesso fin dall’inizio, e basta guardare la variazione del valore di mercato delle più note criptovalute per rendersene conto: se nel febbraio 2015 un Bitcoin valeva circa 200 dollari, nel febbraio 2021 ne vale intorno ai 30mila.
Del resto quando si parla delle persone più ricche al mondo, i Bitcoin e criptovalute in generale sono spesso menzionati come l’investimento del futuro.
Per chi non mastica l’argomento criptovalute verrebbe da chiedersi: e allora perché le aziende non pagano i propri dipendenti in Bitcoin? Andiamo con ordine.
Perché non si può farsi pagare in Bitcoin in Italia
1) Perché non è una moneta con corso legale
Mentre ad esempio in Giappone e in Nuova Zelanda alcune criptovalute hanno corso legale, in altri Paesi la diffidenza è ancora alta. Per dirla come Gijs Boudewijn della Dutch Payments Association, “Bitcoin non è denaro”. Nel caso in cui due persone decidano di usarlo, si può definirlo come valuta privata.
"In contesti specifici è conveniente ma alla fine vogliamo cambiarlo in qualcosa gestito da uno Stato, il denaro della Banca Centrale", ha sostenuto Boudewijn.
Ad oggi, in Italia non è possibile pagare lo stipendio interamente in Bitcoin principalmente per questo motivo. Poi, si può discutere sull’opportunità o meno di far divenire le valute legali
2) Per questioni di riciclaggio
La Deutsche Bank è tra gli istituti di credito più fermi a questo proposito: le transazioni in Bitcoin sono a forte rischio di riciclaggio di denaro e operazioni illecite. Dobbiamo tenere a mente che, dalla nascita di Bitcoin nel 2008, il principale utilizzo di essa sembrava essere sul Dark Web, per pagare operazioni non alla luce del sole.
Oggi in realtà lo scenario è cambiato, e diverse aziende accettano pagamenti in Bitcoin - anche in Italia, come si può facilmente vedere dall’app QuiBitcoin. In più, da ottobre 2020 anche il colosso finanziario Paypal accetta pagamenti in Bitcoin.
3) Per questioni di anonimato
I pagamenti devono essere tracciabili per necessità di lotta all’evasione fiscale e al riciclaggio.
Per questo le criptovalute generano alcuni problemi, che sono insiti nella loro tecnologia: infatti, basta guardare una transazione tipo: tutti gli utenti che fanno parte della rete blockchain della criptovaluta in questione potranno vedere che Tizio ha versato 1 token (1 moneta) a Caio.
Però Tizio e Caio sono identificati da un codice alfanumerico (la chiave pubblica), e potrebbe sembrare che non ci sia modo di capire a quali persone fisiche questi codici appartengano. Se non - ovviamente - conoscendo molto bene la tecnologia e interrogandola con gli strumenti corretti, cosa che non tutti i datori di lavoro o gli Stati sono in grado di fare.
Quindi, se per certi versi la tracciabilità è garantita, la questione dell’anonimato è aperta.
Volendo, è possibile consultare su https://bitcoinwhoswho.com/ se il codice che abbiamo di fronte è reale o se è una truffa.
È chiaro che finché la legge non dice espressamente che si può corrispondere lo stipendio a un codice alfanumerico, sarà difficile che le singole aziende si arrischino in tal senso, anche se più avanti vedremo che qualcuno lo fa.
4) Per questioni di tasse
Il proprio wallet in criptovalute è una strana creatura: non è pignorabile, come spiegato in questa intervista a La Legge per Tutti da Alessandro Curioni, giornalista ed esperto di informatica e di sistemi di sicurezza digitale.
E di per sé non c’è una norma che ne parli espressamente, anche se di norma non vengono tassati gli strumenti di guadagno in sé, ma le plusvalenze generate, quindi teoricamente bisogna capire se un lavoratore che percepisce lo stipendio in Bitcoin o un commerciante che riceve un pagamento in criptovalute stanno agendo come investitori o meno, e su questa considerazione basare la normativa.
In parole povere, chi oggi maneggia le criptovalute deve rivolgersi a un esperto del settore per capire come tassarle nel modo più corretto possibile, o in alternativa fare un interpello all’Agenzia delle Entrate.
5) Per le commissioni alte
Uno dei propositi originari dei Bitcoin era fare dei trasferimenti di denaro da una parte all’altra del mondo senza pagare onerose commissioni e tassi di cambio alle banche.
Oggi la popolarità di Bitcoin fa sì che molte persone li usino come metodo di pagamento, cosa che ha portato la rete a intasarsi. Si può velocizzare la propria transazione, ma pagando di più in commissioni, il che annulla in buona parte l’obiettivo originario di questa valuta.
6) Per volatilità
Ultima e forse più importante motivazione per la diffidenza verso le criptovalute. Basta guardare la variazione del valore di alcune delle crypto più famose per rendersi conto che - prima di rendere sostenibile questo pagamento per i propri dipendenti - serve rendere stabile la moneta.
Cosa succederebbe infatti se lo stipendio di un intero mese venisse consegnato in Bitcoin al tasso di cambio di mercato (poi, anche su questa questione si potrebbe dibattere) e dopo una settimana la valuta subisse un crollo così vertiginoso da lasciare questo individuo con un pugno di mosche?
Prendiamo il caso dell’Argentina, dove la volatilità del peso argentino ha spinto diversi datori di lavoro a retribuire i dipendenti in dollari, per tutti gli anni ‘10.
Per questo molti parlano di Stable Coin, ma la strada in tal senso è ancora lunga.
Si può farsi pagare in Bitcoin in Italia?
In conclusione, possiamo dire che la questione del farsi pagare in Bitcoin in Italia (o in altre criptovalute) è ancora aperta.
È abbastanza eclatante il caso di un imprenditore di Rovereto, che ha dichiarato alla stampa di pagare parte dello stipendio dei propri dipendenti in criptovalute, ma come nei casi precedenti parliamo di una parte dello stipendio e non della retribuzione integrale.
In tutto il mondo le normative si stanno adeguando a questo cambiamento tecnologico. Per il momento, ci sono diverse soluzioni per le compagnie che decidono di seguire la scia dell’innovazione e proporre ai propri dipendenti soluzioni di pagamento in criptovalute.
Non resta che attendere le risposte del fisco, e soprattutto la risoluzione di tutti i punti problematici elencati sopra.